Autore: Giovanni Cavadi *, XIU FENG HUANG黄秀凤**

Fonte: AUPI. LINK RIVISTA SCIENTIFICA DI PSICOLOGIA.  VOLUME 1/ 2017.

Il seguente articolo è solo un estratto di un articolo molto più complesso. L’articolo completo è consultabile al seguente link http://www.aupi.it/site/wp-content/uploads/2017/12/LINK-1_17.pdf

La psicopatologia e la psicoterapia in Cina.

Nella lingua cinese, la descrizione generale del comportamento mentalmente disor-dinato è kuang 狂. La parte sinistra del carattere rappresenta un cane, che morde ferocemente e indi-scriminatamente. Questa interpretazione suggerisce che l’idea cinese di follia deri-verebbe dalla rabbia dei cani anche se non ci sarebbero prove certe per dimostrare che la prima spiegazione eziologica della malattia mentale sia stata attribuita alla rabbia, anche se la prevalenza della rabbia sia stata senza dubbio una delle principa-li preoccupazioni in dati momenti. Una rassegna dello sviluppo di concetti psichia-trici nella medicina tradizionale cinese ci indica che la classificazione diagnostica e la terminologia hanno sofferto di mancanza di precisione e di sistematizzazione teorica. Nel periodo imperiale la malattia mentale era considerata un tabù familiare; con la Repubblica popolare fu ritenuta essere dovuta a cause politiche «la malattia mentale è il risultato delle ingiustizie del capitalismo»; tali concezioni psicopato-logiche sono state fluttuanti a seconda dell’evoluzione politica del potere centrale. La presenza di una psicopatologia significava un disonore e una colpa per il clan familiare e in questo ambito andava affrontata restando un affare interno alla fami-glia e ciò spiega la segregazione nell’ambito familiare e la presenza di pochi posti letto psichiatrici negli ospedali. Nel periodo coloniale la psicopatologia aveva una impronta kraepeliana, ad indirizzo nosologico, per le influenze della psichiatria tedesca. Uno degli esempi più significativi e più discussi è certamente quello della nevrastenia, termine di origine greca che significa letteralmente “mancanza di forza nervosa”, tradotto in cinese come shenjing shuairuo. Nel periodo del Guomindang si impose una visione psicobiologica a impronta americana, e a partire dal 1949 la psicopatologia si sviluppò sotto l’influenza pavloviana. Data l’importanza della psi-chiatria biologica, la cura era quasi esclusivamente fisico-biologica e la “neuraste-nia” serviva a coprire un ampio ventaglio dei disturbi nevrotici e depressivi. Quando la famiglia riconosceva la propria impotenza di fronte alla gravità della patologia del familiare si rivolgeva alle terapie legate alla religione popolare. Gli shamani rilevavano la colpa da riparare, i preti taoisti offrivano consigli per affrontare i conflitti quotidiani, arricchiti da pratiche magiche o esorcistiche. Gli indovini bud-disti consultavano un antenato negli inferi per risolvere la crisi familiare; venivano consultati Astrologi, specialisti del Feng-shui (energie telluriche) e maghi. Un metodo psicoterapeutico tradizionale si fondava su una concatenazione dell’ini-bizione di 5 emozioni: la collera, la preoccupazione, la paura, la gioia e la tristezza. Quando una di queste emozioni dominava il paziente, lo si metteva ‘a posto’ facen-dogli provare l’emozione inibitrice: così a una persona colpita da collera patologica, si suggerivano delle cose tristi. Questo tipo di terapia non è più attuale. Liu K.C. svolse ricerche nell’ambito della psicologia medica proponendo un metodo per la cura dei malati di mente, simile allo Zen giapponese. Nel decennio della Rivoluzione culturale la malattia mentale fu considerata quale risultato di un disadattamento alla nuova società e ad un attaccamento alle idee erronee. Un articolo di Mao Tse-tung del 1965, “Da dove provengono le idee giuste”, di-venne parte della Risoluzione del Comitato centrale del Partito su alcuni problemi dell’attuale lavoro nelle campagne, decretando l’impegno di uscire da un pessimismo egocentrico e di fare appello alla coscienza collettiva fondandosi su una dialettica razionale praticata in riunioni politiche, con una azione di autocritica delle proprie idee irrazionali (contro rivoluzionarie) e l’impegno al cambiamento sotto la pressio-ne del gruppo. Scriveva Mao: «Non vi sono altri mezzi per provare la verità… che attraverso la prova della pratica… Spesso si può giungere a una conoscenza giusta solo dopo molte ripetizioni del processo che comporta il passaggio dalla materia allo spirito, poi dallo spirito alla materia, cioè dalla pratica alla conoscenza, poi dalla conoscenza alla pratica». A partire dagli anni ’70 si è assistito al ritorno della psichiatria biologica; la nevrosi e la neurastenia vennero trattate con la medicina tradizionale cinese (agopuntura) o anche con tecniche di decondizionamento, in omaggio al pavlovismo. Per gli isterici e gli psichici impressionabili l’agopuntura agirebbe come un fatto suggestivo. Il riconoscimento dell’influenza della musica sugli stati mentali (in omaggio al con-fucianesimo) ha comportato l’uso della musicoterapia e il recupero della tecniche tradizionali quali il Taijie, il Qigong, strumenti che favoriscono la concentrazione, il rilassamento e la percezione corporea profonda. A seguito di una domanda crescente da parte dei servizi di salute mentale, gli psi-cologi del Comitato clinico e di counseling elaborarono un codice etico per gli psi-cologi clinici cinesi impostando un sistema di riconoscimento e di regolamentazione dell’attività psicologico- clinica. Fu il primo passo per la professionalizzazione dei servizi psicologici al servizio della società. Già dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese gli psichiatri cinesi pensaro-no all’elaborazione di un proprio sistema di classificazione delle malattie mentali, ma a causa degli eventi politici che caratterizzarono la storia del paese negli anni Sessanta e Settanta, la prima versione del Chinese Classification of Mental Disorders (CCMD, Zhongguo jingshen zhang’ai fenlei yu zhenduan biaozhun) fu pubblicata solamente nel 1979.

La psicoanalisi in Cina.

L’introduzione e la conseguente diffusione del freudismo in Cina ebbe inizio nel 1919-20, quando esso parallelamente acquisiva popolarità in Europa. Trovò una grande predisposizione del mondo intellettuale cinese verso l’occidente e si realizzò attraverso e grazie all’influenza del Giappone e del continente europeo e a studiosi come Pan Guangdan潘光旦 (1899-1967)e l’intellettuale dissidente Zhang Shizhao章士钊 (1881-1973).Quest’ultimo in particolare, durante un periodo di studi in Germania, scrisse a Freud in prima persona: è stata, infatti, ritrovata la lettera (datata 27 maggio 1929) che testimonia la corrispondenza epistolare tra il padre della psicanalisi e Zhang e che rappresenta l’unica documentazione di un diretto contatto con l’ambiente letterario cinese. Tra il 1919 e il 1949 furono pubblicati in Cina molti libri, traduzioni e studi critici, rispettivamente cinesi e stranieri, aventi come soggetto interpretazioni e reazioni alla psicanalisi freudiana. Nel 1931 Gao tradusse alcune opere di Freud con un commento critico. Gran parte del materiale fu tradotto in cinese dal tedesco e dall’inglese, ma i letterati cinesi ebbero anche accesso a traduzioni critiche prove-nienti dal Giappone. Dai Bingham 戴秉衡 (1899-1996), laureato alla St. John’s University di Shanghai, seguì una formazione analitica di Leon Saul e una supervisione di Karen Horney men-tre studiava per il dottorato in sociologia a Chicago.

Era stato indirizzato da Harry Sullivan, che lo conobbe nel corso di un seminario alla Fondazione Rockefeller nel 1932. Tornato in Cina nel 1935, Dai Bingham ebbe un ruo-lo al Peiping Union Medical College, dove insegnò psicologia medica ai medici cinesi, creando un piccolo gruppo di formazione analitica per quelli che seguivano pazienti mentali, con l’obiettivo di sensibilizzarli a forme di terapia basate su un sistema di pensiero che partiva dalla cornice freudiana di riferimento, ad imitazione dei suoi formatori americani. Dai Bingham invece di vedere i problemi di personalità solo in termini tipicamente freudiani di tensione intra-psichica, cercò di comprenderli nei loro contesti culturali e sociali, un orientamento che doveva molto all’influenza di Sullivan.